James Lee Byars: in ogni cosa c’è un quesito!
di Giorgia Santambrogio
“Probabilmente uno dei momenti filosofici più importanti
è quando si realizza che quasi tutto,
per quanto mi riguarda, è un grande interrogativo.
O perlomeno, in ogni cosa c’è un quesito”.
James Lee Byars
Presso la Pirelli HangarBicocca (dal 12.10.2023 al 18.02.2024) ho avuto il piacere di visitare la prima e unica mostra italiana dedicata al genio e all’audacia sperimentale di James Lee Byars (Detroit 1932 – Il Cairo 1997).
James Lee Byars è una delle più importanti figure della scena artistica del ventesimo secolo le cui opere, audaci e sperimentali, hanno esercitato una fondamentale influenza su intere generazioni di artisti.
Nato a Detroit, città rinata grazie all’arte dopo la grande crisi del settore automobilistico, vive una vita nomade tra Detroit, Kyoto, New York, Los Angeles, Berlino, Berna, Venezia e Il Cairo dove muore nel 1997.
L’essere nomade gli consente di intrecciare relazioni e collaborazioni con artisti e curatori di mostre con i quale intrattiene una fitta corrispondenza mediante lettere scritte su materiali particolari e pregiati che costituiscono una parte rilevante della sua espressione artistica e sono la testimonianza del suo desiderio di essere presente ovunque del mondo.
James Lee Byars non è mai stato ricondotto a un singolo movimento artistico proprio per questo particolare approccio interdisciplinare ma è piuttosto considerato come un sintesi tra discipline orientali e correnti artistiche occidentali come il minimalismo, l’arte concettuale, la performance e l’happening.
L’approccio all’arte per James avviene sin da giovane quando ancora studiava nell’università della sua città natale la Wayne State University, organizzò una installazione nella sua casa svuotandola di ogni mobile e mettendosi al centro della sua sala seduto su una sedia per mettere in risalto la sua sola presenza nello spazio.
Nel 1958, dopo l’Università, il suo primo viaggio in Giappone che frequenterà assiduamente nei prossimi dieci anni.
Nei soggiorni giapponesi entra in contatto con numerosi esponenti della cultura e dell’arte giapponese sperimentando forme espressive tradizionali dalla ceramica alla pittura su carta aumentando così il proprio bagaglio di conoscenze, affascinato della religione shintoista e dei rituali della stessa carichi di significato e di oggetti votivi spesso fatti di carta piegata e pietra.
Nella sua formazione ha grande influenza il teatro del NO. di cui apprezza le caratteristiche principali di questa forma d’arte come le maschere estremamente espressive e cariche di mistero, le scenografie astratte e basate sull’estrema semplicità.
Tra il 1950 e 1960 James Lee Byars realizza i primi dipinti dalle grandi dimensioni con tecniche apprese in Giappone, con inchiostro e carta e concepisce la prima sculture “formative” come The Performable Square, un cubo formato da fogli di carta impilati uno sopra l’altro che spesso sono stati piegati a formare un quadrato sul suolo. In queste performance hanno collaborato con lui figure di rilievo della danza come Lucinda Childs e Yvonne Rainer.
Byars sin da subito, e grazie agli studi in psicologia e filosofia, è interessato alla condizione umana, ai suoi limiti e al senso della fine dell’esistenza.
Al rientro negli States incontra l’allora curatrice del MoMA Doroty Miller, che espone le opere di Byars nelle scale di emergenza del Museo.
La mostra, della sola durata di un giorni, segna l’entrate di Byars sulla scena artistica statunitense.
Negli stessi anni James Lee realizza iconici abiti collettivi in materiali pregiati come la seta, collettivi perchè indossabili da più persone contemporaneamente in performance pubbliche da lui organizzate.
Per generare l’attenzione dei media coinvolge anche personaggi famosi.
Nel ’67 attira l’attenzione del New York Times con una processione di un miglio dove cento persone indossano una unica sciarpa in seta rossa accompagnati dalla musica di Bach suonata dalla Salvation Army Tuba Band capitanata dalla studiosa femminista Shere Hite.
Attratto dagli studi sui testi sacri buddisti secondo i quali tutte le cose visibili sono illusioni, manifestazioni temporanee della realtà che è indefinita e vuota come da sua stessa affermazione “l’identità degli esseri umani, e quindi anche quella degli artisti, non è un valore predeterminato: è come un sogno, una visione, una bolla, un’ombra, lo sguardo, un lampo“.
Espressione eclatante di questa ricerca è The Giant Soluble Man (’67) una delle strutture più spettacolari realizzate da Byars.
Lungo la 53°strata, tra la Quinta e la Sesta Avenue stende una figura umana in carta solubile grande 150 metri invitando poi i passanti/partecipanti a camminare o a rotolarsi su di essa.
Successivamente con l’aiuto della Polizia con due camion versa sopra la figura dell’acqua dissolvendola nel nulla come l’esistenza umano, come il nostro passaggio su questa terra.
Negli anni ’70 raggiunta la notorietà viene invitato ad esporre nei più importanti Musei, Istituti europei e per queste occasioni dipinge campionature monocrome dai colori fortemente simbolici come l’oro o il rosso su pareti e pavimenti per poi porre sopra le sue opere e le sue performance.
L’oro, il rosso, il nero, il bianco e il viola sono parte dei colori costanti nelle sue opere, dove spesso l’oro simboleggia il divino e il nero il suo contrario.
In questo periodo volge anche la sua attenzione al cosmo collaborando con diversi istituti scientifici, proseguendo la sua ricerca attraverso gli interrogativi basati sul dubbio filosofico secondo cui la domanda è più importante della risposta.
Forse per questo ottiene nel 1970 ottiene una residenza presso l’Hudson Institute, centro di ricerca nucleare, il suo lavoro si focalizza sul trovare “la cento domande più significative (per all’epoca) negli Stati Uniti”.
Due anni dopo è invitato al CERN (centro europeo di ricerca nucleare) di Ginevra. Tutti questi incontro con ricercatori hanno un forte impatto sul suo percorso che lo portano a sviluppare un pensiero sempre teso alla ricerca della perfezione.
E’ in questo periodo che utilizza per le sue opere materiali eterni come la pietra arenaria, il marmo, il vetro, simboli dell’assoluto. Questo percorso lo parta ad usare anche oro e della forma (perfetta) sferica.
Tra gli anni ’80 e ’90 si dedica prevalentemente alla produzione di sculture inserendosi nel dibattito artistico mondiale dove concepisce opere estensioni di se stesso come la serie di sedie che metaforicamente fungono da estensioni del corpo dell’artista.
Le sue opere raggiungono dimensioni sempre più grandi utilizzando materiali preziosi come seta e diamanti o dalle forme archetipe come la colonna e il cerchio.
Gli anni ’90 sono la consacrazione del suo lavoro a livello mondiale, grazie anche ad una serie di retrospettive nei più importanti musei europei come il Castello di Rivoli a Torino o l’IVAM di Valencia e il Museo Serralves a Porto.
Sino alla personale all’Hangar Bicocca tenutasi dal 12 Ottobre 2023 al Febbraio 2025 dove noi di Urban-Signs eravamo puntuali e presenti ad ammirare le opere visionarie, cariche di significati, che hanno rappresentato l’intera opera dell’artista di Detroit.
Sotto alcune foto della mostra all’Hangar Bicocca.
The Golden Tower
Acciaio e oro 24 carati
The Golden Tower
Acciaio e oro 24 carati
The Golden Tower
Acciaio e oro 24 carati
The Door of Innocence
Marmo dorato
The Door of Innocence
Marmo dorato
The Door of Innocence
Marmo dorato
The Door of Innocence
Marmo dorato
The Spinning Oracle of Delfi
Anfora in terracotta XIX sec., oro 24 carati
The Spinning Oracle of Delfi
Anfora in terracotta XIX sec., oro 24 carati
Byars is Elephant
Corda, tessuto dorato
The Rose Table of Perfect
3333 rose rosse, spera in poliestere
The Rose Table of Perfect
3333 rose rosse, spera in poliestere
The Giant Angel with the Human Head
vari oggetti su seta
The Unicorn Horn
The Unicorn Horn
The Unicorn Horn
The Devil and His Gifts
Vari oggetti su seta
The Devil and His Gifts
Vari oggetti su seta
The Thinking Field
10o sfere di marmo
12 vetrine in legno dorato contenenti una scultura ciascuna
The Conoscince
Legno dorato, cupola in vetro, globo
The Conoscince
Legno dorato, cupola in vetro, globo
Red Angel of Marseille
Questa un’intervista a Vicente Todolì direttore artistico della Fondazione HangarBicocca sulla mostra dedicata a James Lee Byars
2023
Inglese/italiano
19,5 x 31,4 cm, 272 pagine
ISBN 9791254631324
A cura di Vicente Todolí
Editore Marsilio Editori
Testi di Jordan Carter, Gabriele Detterer, Sarah Kislingbury, Alexandra Munroe, Maurizio Nannucci, Shinobu Sakagami e Vicente Todolí