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Pino Daniele, tra Napoli e il Blues: l’arte della commistione che dovremo imparare a preservare

di Alessandra Elle Latini

Sette anni fa, a pochi giorni da Capodanno, ci lasciava uno dei più virtuosi rappresentanti della musica italiana contemporanea. Ora la sua arte suona come un testamento e un monito per l’Italia del futuro.

Notte di Capodanno 2015. Ascoltavo Pino Daniele durante il tradizionale concerto della Rai e dicevo, rivolta ai miei commensali: “Lui sì, che sa fare musica. Può piacere o non piacere, ma la sua bravura è incredibile. Vi sfido a negarlo”. Pochi giorni dopo Pino morì, e quella sua ultima apparizione suonò per tutti noi come un testamento.

Del resto molte canzoni di Pino Daniele hanno segnato in maniera indelebile buona parte di quel periodo preadolescenza-adolescenza-prima giovinezza di noi nati negli Anni Settanta. Canzoni che, volenti o nolenti, ci circolavano nelle orecchie senza sosta e definivano con le loro sonorità quella mistura agrodolce che è l’età della crescita: non si è ancora adulti ma non si è nemmeno più bambini, e tutto in noi scalpita e grida all’indipendenza; allo stesso tempo siam presi da una malinconia che a tratti avvilisce e ci fa pensare, per la prima volta, di stare lasciando una dimensione che non ritroveremo mai più, se non nei nostri ricordi.

Ancora adesso, le parole delle canzoni di Pino Daniele si arrotano sulle nostre lingue così come succedeva allora: e ci ritroviamo a saperle a memoria, quasi senza averne coscienza. È questo il potere dei grandi artisti: la loro arte definisce ciò che siamo indipendentemente da quanto ne siamo consci. Possiamo rendercene conto subito o dopo anni: la ritroveremo dentro di noi nel momento più inaspettato, ma comunque sempre quando saremo pronti.

È innegabile che sette anni fa se n’è andato il rappresentante di una duplice tradizione musicale: quella blues, più internazionale, e quella napoletana, ancora così poco conosciuta. E comunque una parte importante del nostro bagaglio culturale, a riprova che l’Italia – ancora oggi, come è sempre stata fin dai tempi più remoti – è un calderone di influenze arrivate da tutto il globo, da Oriente ad Occidente, da Nord a Sud del mondo, per confluire in questa piccola striscia di terra nell’esatto centro del Mediterraneo. Con Pino Daniele se n’è andata una porzione molto significativa di questa rappresentanza, di questa commistione, che ancora oggi molti rifiutano di vedere, figuriamoci di ascoltare.

Pino Daniele incarnava una cultura multiforme eppure così tipicamente italiana, solo nostra, introvabile in qualunque altra parte del mondo: con lui è scomparso un altro pezzo della nostra Storia, una storia che purtroppo si sta erodendo a poco a poco. E noi, che abbiamo sempre fatto affidamento su quelli più vecchi di noi per preservarla, ora vediamo persone ancora giovani, come lo era allora Pino, che se ne vanno lasciando un vuoto culturale che toccherebbe alla nostra generazione rimpiazzare, ma che noi non abbiamo ancora imparato nemmeno a preservare.

Vivremo dunque sempre e solo guardando al passato? O ci rimboccheremo le maniche e ci renderemo conto che ora tocca a noi coltivare le tradizioni e preservare la storia? E non certo sulla scia di un’assurda rivendicazione di identità culturale, che vuole l’Italia da un lato divisa e dall’altro invasa; ma per ammettere che viviamo un Paese malandato sì, ma così bello nella sua unicità e unito proprio sulla solida base delle sue diversità. Un Paese che, c’è da crederlo, vale ancora la pena salvare.

Foto wikicommons

Alessandra Elle Latini

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