Il cieco visionario: la città indefinita
di Cesare Battelli
“Ma anche non grigio netto, anzi, in generale, nulla di netto, solo l`indeterminato, il
vago. Nessun quì, nessun là, solo l´ovunque.
Ne lunghezza ne brevità, soltanto l`ovunque. Ne lontananza né prossimità, né oggi né
domani, ma solo la loro indistinzione: l`oggi-domani”Paul Klee
Il visionario vede nella misura in cui immagina e può immaginare ciò che é nella posizione di essere immaginato. Da un punto di vista ontologico, L’ immaginazione, in quanto soggetto tra immaginante e immaginato, ci riporta inevitabilmente alla frequentazione di questa parola che é vincolata al termine visione. il visionario é in qualche modo cieco, il suo vedere é scandito da una intrinseca cecità.
Quali relazioni sussistono tra Imaginatio e visione?
L’oculus imaginationis, per citare quello disegnato da Robert Fludd, medico alchimista inglese del secolo XVII, appartiene -seppur con variazioni significative- alle fondamenta gnoseológiche della cultura antica (occidentale e orientale, attraversando tutto il medioevo) e moderna fino al XVII secolo, a partire dal quale l’arte e l’architettura visionaria diventano un genere artistico a sè, incorporando al proprio interno a modo di simulacro il moderno fantasma neoplatonico.
Fino a un determinato periodo storico (XVII secolo avanzato) ogni produzione artistica, anche quella apparentemente più legata alla realtà esteriore, può di fatto considerarsi immaginativa (o immaginaria ma non come qualcosa di irreale) perché articolata tra le intenzioni individuali dell´artista e il fantastikon neoplatonico moderno, legame e mediazione tra sensibile ed intellegibile, tra visibile e invisibile, tra macro e microcosmo. Legame che struttura il senso racchiuso nella parola magia.
L’immagine quindi l’immaginazione, concepita originalmente come corpo sottile a metà strada tra un corpo e tutto il suo contrario, é una indeterminazione, una necessaria “imprecisione”. Mediazione tra pensiero ed essere: incarnazione del pensiero nell’ immagine e presenza dell’ immagine nell’ essere (Paracelso), e che avrà di fatto un ruolo determinante in tutta la cultura rinascimentale.
A differenza dello sguardo, o di un certo modo di entrare ‘visibilmente’ in contatto con il mondo, l’occhio visionario è quindi un organo di natura complessa. Contraddittorio nelle due parole in cui abita, non solo fa riferimento a questo ‘mondo’ ma, allo stesso tempo, è capace di farne emergere un altro. Acceca una cosa per illuminarne il volto nascosto e invisibile. Pur soffrendo di una forma intrinseca di cecità, che è anche contemplatio, intuizione intellettuale o artistica, rifugge l’occhio fisiologico senza ripudiarlo. È occhio e la sua negazione.
L’oculus imaginationis ha pertanto la caratteristica di essere strutturato in modo tale che sia l’immaginazione che lo spazio interiore in cui la stessa immaginazione prende forma siano intrecciati se non addirittura coincidenti. Ed è proprio questa idea di spazio che non è spazio (in senso quantitativo), di tempo che non è tempo e di corpo che non è un corpo che fa dell’utopico la ‘dimensione’ originaria dei topoi della visione.
Si tratta del luogo interiore del ‘non dove’, il luogo dell’ utopia più autentica o, più precisamente, il luogo visionario in cui il situato è sostituito dal situante: lo spazio dell’ubiquità, quel luogo primigenio in cui ‘corpo sottile’ e spazio interiore si costruiscono simultaneamente. Marsilio Ficino definisce questo luogo la cittadella dell’anima nella sua Teologia platonica.
Fig. 1. Visionary Naples di Cesare Battelli
Le prime città imaginate in epoca moderna hanno, e non è un caso, una forma ovalta o circolare evocatrici dell`occhio umano, cominciando dalla città ideale di Sforzinda del Filarete passando per la città del Sole di Campanella fino ad arrivare, seppure con diverse connotazioni, all’ occhio del Teatro de Besançon di Nicolas Ledoux.
A questo si aggiunge, in modo analogo, il carattere geografico delle utopie che si struttura in forma di isolamento, di una bolla, indipendentemente che si tratti di isole perdute o penisole ritagliate dalla terraferma attraverso un canale o una catena montuosa. La dimensione dell’interiorità, o interiorità ab origine, viene, se non confermata, almeno fortemente evocata.
Una dimensione di lontananza nello spazio e nel tempo sono le condizioni fondamentali del sogno utopico. Luigi Firpo ha infatti osservato, esaminando il caso Filarete, come queste condizioni abbiano trasformato l’urbanesimo in utopismo. Ad esempio, il racconto della costruzione di Sforzinda, città ideale, comprende l’episodio del libro d’oro che descrive l’antica Galiforma, città dell’utopia; questo passaggio dà luogo a un gioco di pura invenzione fantasiosa da parte dell’architetto. Da qui le più svariate invenzioni: gli edifici diventano di una complessità senza precedenti, gli stili si amalgamano, si accentua la dimensione e la struttura idraulica (una costante fin dall’Atlantide di Platone) e soprattutto è l’architetto che diventa artefice e legislatore.
Non dovremmo quindi sorprenderci di quanto le visioni urbane siano fin dai tempi di Leonardo, passando per Monsu Desiderio in pittura, Piranesi e successivamente i suprematisti ad esempio, a modo di microcosmi, anche visioni astratte, complesse, de-articolate, convulse e a tratti apocalittiche.
L’ apocalisse é una disgregazione della materia per riportarne il significato sulla soglia del possibile (dissoluzione del corpo, Francis Bacon). Come ha osservato Robert Klein, (La forma e l’ Intellegibile) i regni immaginari sono governati soprattutto da mondi paralleli al nostro in modo tale che l’ altrove, l’altro mondo per eccellenza, ha potuto servire come modello per l’utopia letteraria fin dall’antichità. Il mondo utopico è, tutto sommato, il prodotto di una natura sui generis, fantastica (nel senso in cui si intendeva almeno fino al 1600) o filosofica o molto probabilmente entrambe le cose. La visione urbana o la città ri-immaginata, utopica ma non necessariamente irrealizzabile, ci riporta anche a un passaggio chiave di Sant’Agostino di Ippona il quale distingue due tipi di luci, quella corporea e quella incorporea a cui sono associati due tipi di occhi: oculus corpi e oculus menti. Nelle Confessioni, nella porzione del testo del De Genesis ante Litteram, Agostino propone anche una una terza visione che definisce visio spiritualis alla quale da una connotazione urbana e che non corrisponde a nessuno dei due occhi precedenti, ma acquista una propria autonomia intermediaria.
Nel libro XII del De Genesi il teologo romano riporta ancora una volta un paradigma urbano, quello del confronto Alessandria-Cartagine (città conosciuta e un’altra immaginata a partire da quella conosciuta) per evidenziare tre modi di intendere un messaggio: con la visio per oculos si vedranno le lettere, con la visio ab intellectu sarà il significato ad essere compreso, e da lì necessariamente una visione intermedia, tipica della “comprensione intermediaria” che coglie ciò che è assente da ciò che segue, cioè attraverso somiglianze e connessioni immaginative.
Fig. 2. Naples model by Cesare Battelli
In modo analogo le visioni urbane contemporanee e i territori immaginari che propongo, cosi come le architetture che li compongono, soprattutto grazie agli attuali laboratori di intelligenza artificiale, sono immaginati, quindi rappresentati (farsi nuovamente presenti), a partire da se stessi, (la città diventa attraverso le sue tracce genoma di se stessa). Le visioni topografiche nascono dai propri codici e narrazioni interne, rompendo i propri limiti e ricomponendoli in modo inaspettato. In quanto soglie di architetture e scale contrastanti, spazi ibridi e imprecisi, queste macchine urbane visionarie tendono a ristabilire quel senso di in-definizione che la visione/immaginazione e la città visionaria hanno come fondamento comune.
Cesare Battelli – Bio
Cesare Battelli è un artista e architetto italiano. Si dedica principalmente alla ricerca e alla sperimentazione nel campo dell’arte e dell’architettura visionarie, nonché alla realizzazione
di progetti architettonici a diverse scale.
Ha insegnato, tenuto diversi workshops e membro di giuria in molte Università come Politecnico di Milano, Sek, Ie, Etsam, Esne, Nebrija, Iuav, Guc, Uah, Alba, Uba ecc, oltre che in
concorsi internazionali. Si laurea allo Iuav di Venezia con un progetto architettonico sviluppato a Mosca relativo a Geografia e Architettura e ha conseguito un master in
architettura presso la Hochschule für Bildende Künste, Städelschule di Francoforte, sotto la direzione di Enric Miralles e Peter Cook. Ha viaggiato e lavorato in diversi paesi europei
(Venezia, Mosca, Barcellona, Francoforte, Madrid). Ha scritto articoli per diverse riviste di architettura come A.E., Novalis, Utopica, Metalocus e così via, e ha tenuto conferenze in molte
Università europee.
Nel 1998 ha promosso il “Gruppo Einander” e successivamente il “Gruppo Meta-morphic” fino al 2001, quando ha intrapreso la carriera da solista fondando la propria piattaforma di
ricerca Visionary-Architecture, mantenendo alcuni rapporti di collaborazione con EMBT di cui è stato collaboratore nel progetto Nearly Ninety per Merce Cunningham, curatore della
Mostra 4 cuartos e pubblicazioni varie. I progetti, le collaborazioni e gli scritti che ha realizzato dai primi anni Novanta sono stati pubblicati dalle seguenti riviste: El Croquis, Architectural
Monographs (AD), Diseño Interior, Frame, Spazio e Architettura, Architettura Cronaca e Storia e varie riviste digitali o blog di architettura come Icarch, ArchitectMagazine, TheConversation
e Metalocus.
Attualmente è ricercatore presso l’Università UAH di Alcalá, Madrid.